sabato 29 dicembre 2018

"I rassegnati" VS "Gli invisibili".

Mi chiamo Elisa e ho 35 anni. Ho smesso di sognare non so da quanto. Ultimamente mi sto appassionando al vasto e complesso tema della sociologia e pertanto, dopo aver letto un libro che analizza con lucidità e sincerità agghiaccianti i mali fisici, mentali e soprattutto spirituali che affliggono l'intera umanità a partire dagli anni '30 in avanti (Meta Modern Era) mi sono fatta regalare l'ultimo libro di Tommaso Labate intitolato "I rassegnati" - l'irresistibile  inerzia dei quarantenni. Così, per deprimermi ancora un po' e fare luce sulla mia mancanza di sogni.

La sociologia per l'inciso è la scienza sociale che studia i fenomeni della società umana, indagando i loro effetti e le loro cause. Ma dall'analisi oggettiva al raggruppamento di persone con tanto etichette sociali, giudizi e valutazioni appiccicose passa un attimo. Per quanto mi riguarda me ne esco così per non incappare in questo problema: un conto è dire tutti i quarantenni sono dei rassegnati, un conto è dire quasi tutti i quarantenni sono dei rassegnati. Eh certo, perché bisogna avere il beneficio del dubbio che ci siano superstiti che rappresentino la sponda diametralmente opposta per non cadere nel baratro di una banale generalizzazione e far così di tutta l'erba un fascio.

In effetti per una come me che ogni giorno conduce una battaglia contro se stessa sugli stereotipi, pregiudizi, giudizi e tutti gli altri fast food della mente, leggere assiduamente libri che trattano questioni sociali e un po' come darsi una martellata dopo l'altra sugli attributi ma forse, è l'unico modo per sentirmi viva e dare spazio ai sentimenti mentre viviseziono i fenomeni sociali.
Il sentimento che mi ha accompagnato di più durante la lettura è stata la rabbia, contro i quarantenni ovviamente (direi pertanto che sono in linea con lo studio del Censis: https://www.lastampa.it/2017/12/01/economia/il-censis-il-nuovo-male-dellitalia-si-chiama-rancore-MvCgToFh9ho1Uo8X21XXoN/pagina.html). Da una rapida introspezione questa rabbia è dovuta al fatto che per me il quarantenne rappresenta il mio fratello più prossimo, colui che dovrebbe o avrebbe dovuto proteggermi ed incoraggiarmi ad affrontare la vita, prepararmi la strada e fare il passaggio di consegna nel mondo del lavoro, nella sfera sociale ed affettiva ma non l'ha fatto e neanche l'ha voluto mai fare.
Labate lo descrive come: senza speranze, senza soldi, senza figli, senza rancore. E a lui, che è un giornalista affermato che ha appena compiuto 39 anni posso dare fiducia in questa drammatica e sincera autodenuncia di 219 pagine.

Il ritratto che ne emerge piano piano dal libro è deprimente: non è solo senza speranze, soldi, figli e rancore, è anche quello che cerca di soffocare le possibilità alle nuove generazioni. Si comporta in maniera egoista, opportunista ed egoriferita. E' il tipico che dissuade dall'intraprendere un progetto perché se è andata male a lui figurati a te, quello che alimenta la legge di Murphy alla faccia del pensiero positivo, quello che appena sbagli ti castiga a vita senza possibilità di riscatto, quello che è prigioniero stesso della sua immodificabile cartina stradale della realtà, che ahimè alla sola vista non ti fa venir voglia di intraprendere nessun viaggio, poiché è piena di incidenti, delusioni e trascurabili battaglie.

Dopo la lettura, in preda all'angoscia e alla necessità di fare un paragone con la mia esperienza ho fatto scivolare la lista contatti dal vetro temprato del mio braccio bionico a forma di smartphone ed ho estrapolato così la lista degli indagati. Non è che riesca molto a cambiare le sorti del quarantenne medio, perché tra fruitori di antidepressivi, conoscenti che hanno fatto figli per saziare il mancato senso di realizzazione in quasi tutti gli altri campi, altri che si sposano per convenzione ma non sanno quali rinunce ed accettazioni comporti il matrimonio e l'amore devoto, altri ancora che sono alla ricerca della risposta al senso della loro esistenza su questa terra, altri che non prestano alcun impegno nel volontariato o in battaglie sociali significative ed infine altri che hanno la giustifica scritta pronta ad esentarli da atti verso il prossimo di pura gratuità, generosità, affetto o solidarietà, i nomi dei virtuosi rimasti nella mia lista rimangono molto, ma molto esigui.

Il tanto a che serve?! è il jingle che ha fracassato i maroni a noi fratellini minori, che siamo delle creature deformi per metà tecnologiche e metà Sì, lo pretendo! privi di sogni e speranze ma assuefatti da desideri ossessivo-compulsivi. Ci siamo subito noi dopo: tristi, poveri ed ignoranti Millennial invisibili destinati a passare alla storia senza lasciare un segno e senza un perché come Nada cantava, cresciuti con il mito del merito e successo facile senza nessun talento né sacrificio alla Kim Kardashian, dagli alti valori morali poco applicati proattivamente in prima linea ma pretesi dall'ambiente circostante ed affetti da un narcisismo patologico senza precedenti. Siamo il paradosso del voglio tutto in cambio del niente, afflitti da obesità di benessere derivante tra gli altri motivi da un'eccessiva nonché dispersiva pigrizia. Non abbiamo dei lavori gratificanti, dal 2007 navighiamo a vista nella recessione economica tra una competenza acquisita e un'altra scroccate dall'albero della cuccagna che si nasconde nelle tasche dei nostri genitori in attesa che qualcuno venga a rincuorarci che la tempesta è finita, che è arrivato il nostro momento e possiamo realizzarci in pace.

Beh, non saranno di certo gli aridi e sadici quarantenni a venirci a confortare e dare una carezza, in fondo loro come noi aspettano ancora che qualcuno gli metta una mano sulla spalla e li valorizzi. Quella mano appartiene ai nostri padri nonché riferimenti quali i Baby boomers, i fortunati della Me generation. Loro mediamente a 35 anni avevano tre figli, un lavoro con cui sarebbero arrivati alla pensione, un patrimonio messo da parte, casa di proprietà e si accingevano ad investire in un secondo immobile, in Bot o Cct. Comprensibilmente la competizione non regge e quella mano neanche l'aspettiamo più.

Forse, saranno i più giovani ad inviarci buone notizie da un qualche punto nel circolo polare antartico per via della fissazione sempre più diffusa a cercare fortuna e rivendicazione altrove. Meglio cameriere a Londra che stagista addetto alle fotocopie e rilegatura in qualche malandata azienda italiana sostengono gli acerbi eredi. 

Mi sono sempre chiesta che differenza sostanziale ci fosse a parte imparare la lingua ma poi, rileggendo quest'articolo ho capito che è meglio qualunque posto prima di aver a che fare con noi connazionali millennials e generazione x, alle prese con una faida silente camuffata da larghi ed interminabili sorrisi.

In fondo in fondo, tanto per rimanere vicini ai detti a me cari tradizione vuole che tra i due litiganti sia proprio il terzo a godere.




Per ascoltare Senza un perché di Nada:

https://www.youtube.com/watch?v=dHfsKFx0Bfs



venerdì 21 dicembre 2018

Il senso della Vita

"Cosa sono io?" Domandava il cuore puro del giovane.
Il sapiente rispose: "non sei altro che parte integrante del Tutto."
"E maestro ditemi, cosa c'era prima di me? E dopo questa vita cosa mi aspetta, forse il nulla?"
Ed egli rispose: "sei sempre stato, sei e sempre sarai.
Il nulla e' un'invenzione del male che voleva imprigionare l'uomo nella paura."


"Ma come fate ad esserne sicuro? Avete delle prove?" Lo incalzò il ragazzo.
Il saggio allora rispose: "il nulla non e' e non e' concepibile nemmeno dal pensiero. Solo l'essere è."
Il giovane tormentato insistette e disse: "forse e' tutto vero quel che dite, ci dovrei riflettere!
Ma ora rivelatemi: "perché IO sono e sono qui?"

Il sapiente aggiunse: "siete figlio del Creatore e parte del Tutto, siete l'occhio vigile del Padre e il custode del suo regno.

Il sapiente che vide il giovane smarrito e confuso allora bonariamente proseguì: "quando venne creato il Tutto l'uomo non esisteva, la splendida creazione Divina era come un immenso dipinto che conteneva ogni cosa! Così Dio divise tutti gli elementi che componevano il suo Progetto; le montagne rappresentavano la Forza, il tramonto la Calma, i fiori la Bellezza, il mare la Vivacità, gli animali l'Innocenza e cosi via.. Così scompose dunque l'ultimo elemento. 
Esso doveva rappresentare l'essenza ed il significato della vita e custodire inconsapevolmente questa verità nella sua memoria. E' così che dal fango e dal soffio Divino nacque l'uomo. 
Dal Tutto però nacque anche il Male che invidioso e rancoroso di non avere avuto mostranza e conoscenza alcuna nella creazione, si vendicò celandosi dapprima nei fantasmi impalpabili e fu così che nacquero la Paura, l'Incubo, la Scontentezza, la Noia e via via insinuò nello sguardo e nell'animo la Bruttezza, la Sofferenza e l'Inganno. Esso però che era costituito da tutti questi elementi negativi e ancor tanti di più, rimase insoddisfatto della sua opera. 

Bramò pertanto un piano per addentrarsi nell'unica creatura in cui poteva concretizzarsi la sua azione e perpetuarsi la sua esistenza. Assunse le sembianze di un uomo, avvicinò una donna sussurrandogli: "se ti concederai a me allora ti rivelerò il senso della tua esistenza". La donna, curiosa di natura e pur di ingenuità costituita, fu sedotta e si concesse a quell'uomo che ostentava tutte le più grandi Virtù sotto menzognere spoglie. Quando Dio si accorse ormai era troppo tardi e il Male rese gravida l'umanità prendendo forma e potere. Per proteggere da se stessa la sventurata creatura allora Dio cancellò la memoria del Prima e del Dopo dalla mente di ciascuno e celò nei meandri dell'anima il Senso della Vita insinuando di conseguenza il Dubbio e la Diffidenza ma anche la tensione naturale all'infinito."

Il giovane che aveva ascoltato attentamente tutta la storia rimanendone colpito fu assalito da un ultima domanda: "se quanto dite è Verità, come fate a sapere queste cose con cosi tanta sicurezza senza ostentare presunzione alcuna?"

Il sapiente sorrise, guardò il ragazzo con infinita serenità e disse: "La rivelazione di Dio si manifesta nella purezza dell'anima".





Marc Chagall, Natività, 1941
La Natività ricorre anche nelle produzione artistica più recente. Il delicato dipinto di Chagall si inserisce nell’ambito dei soggetti religiosi rappresentati dal pittore russo, con una tecnica fedele a quella dei soggetti laici. Onirica e quasi fiabesca, l’opera oppone a una Madonna con Bambino, eterea e sospesa sul lato sinistro del dipinto, un Cristo crocifisso fluttuante sopra una distesa di rose e di simboli dai colori vivaci. Una lettura in chiave contemporanea di un soggetto millenario.

venerdì 14 dicembre 2018

La S-cultura delle unghie ieri, oggi, domani

"Unghie, unghione, unghiette, 
scintillanti, sfavillanti, luccicanti,
si aggirano per le strade come catarifrangenti
forse per far perdere la bussola ai meno abbienti
oppure per darsi un tono con mediocri espedienti.

Unghie, unghione, unghiette,

colorate, pittoresche, grottesche

suscettibili a tiepidi flirt o infelici tresche,
rotonde, a punta, squadrate e dal mood pensato

per donarci un aspetto ammaliante e sempre curato".



Il trend mood vuole che raffigurino Babbo Natale, renne, palline, stelle filanti, fiocchi e fiocchettini, cosparse di paillettes, pietrine, filigrane o qualsiasi cosa che dal tema natalizio sia applicabile. La nail art mania (ormai l'inflazionato vocabolo "arte" è accostato a tutto ciò che abbia un bisogno disperato di credibilità) è più che una semplice moda però, temo sia infatti destinata a non passare mai: un po' come il tempo quando ci si annoia.

Ne hanno fatta di strada i nostri artigli, valorizzati già 5.000 anni fa da una semplice manicure all'hennè in India fino a raggiungere oggi il podio dei protagonisti indiscussi della femminilità occidentale e di un settore che cresce paurosamente. "Paurosamente" nel senso che a me un po' paura ne fa questa cosa.

Agli esordi il colore applicato era un modo per identificare lo status sociale di una donna, oggi più o meno: spesso identifica il finto o ambito status sociale, l'incontinente voglia di esprimere la propria personalità, il proprio umore in modo istantaneo, il proprio istinto di difesa o bisogno di protezione, il desiderio di attirare l'attenzione su di un IO che grida: "guardami, io ci sono!". 

I padri della psicologia potrebbero dare infinite rappresentazioni dei perché che spingono ad un trattamento che allunghi, ricostruisca e/o copra con l'artificio le unghie naturali ma il bisogno profondo di ciascuna non risponde al quesito fondamentale: 

ha veramente senso tutto ciò?!

I costi: da listino una ricostruzione con colore/french si aggira sui 60/70 euro, la manutenzione ogni 15/20 giorni circa dai 10 ai 20 euro a seconda dell'intervento da fare. Sul fatto che la maggior parte scelga di sottoporsi a trattamenti homemade della zia, cugina, amica, sorella non metto becco ma dubito sia gratuito o esente da un qualche baratto. 

Sommando un tanto al chilo quindi body & nail art, estetica, chirurgia, make up, hair styling scopriamo presto perché tante famiglie tendano allo sfascio. Mariti ridotti ormai sul lastrico a furia di pagare i conti da beauty farm e sempre più abbandonati alle loro play station a causa degli interminabili trattamenti a cui si sottopongono le mogli, vengono avvistati accompagnare a passeggio le consorti nel breve tempo rimasto (spesso dedicato a shopping compulsivo da centro commerciale) con aria moribonda, trascinandosi avviliti fino a quando non incrociano gli occhi di un furtivo sguardo da cerbiatta che infonde una momentanea speranza illusoria di prospettiva felice.

Oltre al dramma economico-relazionale che affligge le famiglie, da sempre mi chiedo quali sono le operazioni quotidiane per mantenere pulite quelle impalcature artificiose che dovrebbero essere armi di seduzione, ma che spesso sono molto armi e poca seduzione. Mi chiedo pure se, qualcuna che non faccia alcun accorgimento ulteriore rispetto al tema dell'igiene ungueale, dia un nome o addomestichi la colonia di microbi e schifezze varie che possano infilarvisi nell'intersezione sottostante, proprio a ridosso del polpastrello. Confesso che è uno dei film horror che più spesso mi passano per la mente ogni volta che le osservo distrattamente.

Però, c'è da aggiungere che io in fondo sono una ragazza semplice. Sono una che, dopo aver comprato una trentina di smalti di tutti i colori e fatto mille tentativi di applicazione falliti ahimè per via della mia estrema fissazione per i dettagli (ricordo che a spennellate ultimate iniziavo ogni volta ad osservare insistentemente le micro imperfezioni, fino a levare con l'acetone ogni traccia di smalto accuratamente steso poco prima con aria compiaciuta e vittoriosa), ha capito che soffre di rigetto psicologico da prodotto acrilico/sintetico. 

D'altro canto le mie estetiste hanno presto intuito che non avrebbero mai fatto business-gold con me, poiché avrei prenotato sempre e solo manicure e pedicure senza smalto. Con unghie cortissime, s'intende. Una cliente androgina fedele ma basic, via!

Ma...sinceramente: A VOI MASCHIETTI PIACCIONO LE UNGHIE RIFATTE? 

Lo so, forse non eravate preparati perché dopo il tema tipico da anni  '90 sulle "tette rifatte sì, tette rifatte no" nessuno ha trasposto il focus critico sulle mani però…non vi sembra che la donna naturale e verace stile Sofia Loren nella veste di Adelina in "Ieri, Oggi e Domani" sia quanto di più sexy ci sia?!



Alle 18:43 del 14/12/18 il CORRIERE DELLA SERA pubblicava quest'impressionante articolo sulle unghie natalizie😱:

https://www.corriere.it/moda/beauty/cards/unghie-natalizie-idee-piu-divertenti-renne-fiocchi-neve/babbo-natale_principale.shtml


venerdì 7 dicembre 2018

"Bohemian Rhapsody": Freddie in prosa, i Queen in pratica.

Credevo che il pessimo film pluripremiato della Germanotta avesse per un po' inibito i miei più reconditi desideri rispetto alla frequentazione di cinema ed invece ieri sera ho capito che niente: è un'ostinazione che non riesco ad abbandonare, un tarlo aggressivo e così una volta raggiunta al buio la fila M e sistemata sulla poltrona numero 20 mi sono spontaneamente consegnata ai 2h e 13m di pellicola previsti. 

Davvero: risulta difficile aggiungere qualcosa che non sia già stato scritto nelle autorevoli recensioni che potrete leggere cliccando a piè di pagina però qualche consiglio disinteressato ve lo posso dare prima che compriate il biglietto:

❌non caricatevi di aspettative in generale;

❌lasciate a casa il taccuino con le check list da perito tecnico, critico d'arte o cinematografico;
❌sebbene non eccessivamente provocatorio forse è meglio non portare i pargoli a vederlo;
❌da evitare se siete integralisti, pudici, bigotti, ipocriti;
❌come riga sopra se siete fanatici, vi identificate o pensate che sia documentaristico;
✔se ignorate la storia dei Queen e di Freddie Mercury siete il target perfetto;
✔per le donne: scegliete giorni dal forte sbalzo ormonale così da beneficiare del massimo effetto emotivo.

Io (che potrei essere la sessantacinquemilionesima spettatrice mal contata) credo di aver centrato tutti i requisiti perché a parte i primi 5 minuti in cui credevo fosse uno scherzo (scusate il piccolo ma dovuto appunto: Freddie era un bel ragazzo dal tratto esotico e sinceramente Rami Malek che schecca in modo accentuato dopo aver rubato la dentiera a Myley Cirus tortura ampiamente la sua memoria estetica..) mi arrendo: Malek piano piano diventa sempre più convincente, credibile, la pianta di scimmiottare ed entra nel personaggio: forse lo spirito di Freddy si è impossessato di lui per l'occasione?! Ci potrebbe stare, lui era uno che soffriva di evidenti manie di protagonismo...


Comunque, al netto del mondo gay che ne esce veramente a pezzi in quanto incarna tutti i più cattivi comportamenti che si possano immaginare, il resto funziona! 

Epilogo: esco dalla sala piangendo e varco la soglia di casa con gli occhi ancora umidi. Fragilità, inquietudine, solitudine, sensibilità, ingenuità… se il disagio emotivo rendesse a tutti come ha reso a lui artisticamente ci faremmo la firma anche noi e la smetteremmo di scappare da noi stessi con mille inconsapevoli escamotage? 



Meno selfie e più mindful? 

Sì, il film mi ha talmente travolta che confesso di aver accennato un battito di piedi e mani come una cretina sulle note We Will Rock You ed in tutta questa Movie Experience ho intuito (capito no, sarebbe pura saccenza)
chi fosse Freddie Mercury e la famiglia Queen, ora non mi resta che leggere incuriosita la toma di 466 pagine che mi aspetta pazientemente nella libreria e capirci un po' di più attraverso la Sua vita e le Loro opere d'arte. 
Frattanto grazie Fred di aver concesso il tuo dono divino fino all'ultimo, grazie a te siamo stati tutti un po' più EDUCATI, UBBIDIENTI ED INNAMORATI DELLA MUSICA! 
God save your soul.. 🙏


03/02/2019:

Red Ronnie a Morgan: "Per me fare un'intervista è come fare l'amore"

Red brutalizzato sul web dai fan della band solo perché non ha mai MANIFESTATO IL DESIDERIO di intervistare e prestare la sua maestria ai Queen pur apprezzando e comprando la loro splendida musica. 


È libertà anche per un giornalista (quando non vincolato ad obblighi professionali) di scegliere di non apprezzare le scelte personali dell'artista che hanno inevitabile risonanza collettiva ed evitare la relazione/fusione che immaginiamo si verifichino in un'intervista? 

Si chiama dissonanza cognitiva ed è naturale nell'essere umano che storce il naso di fronte all'incoerenza tra idea di persona (principi universali e valori) e comportamento agito ad esempio. Si sa certo che lo showbiz era ed è a volte corruttibile..


E per questo se consapevoli bisogna accogliere e sostenere ogni scelta borderline che va ben oltre il discorso della soddisfazione economica o mero profitto? 

Un conto tra l'altro è un artista che decide di autodistruggersi (e rinascere come il grande Bowie ad esempio), un conto è un artista che distrugge e se ne fotte sfregiando così il dramma che vivono gli altri. A me più di tutto spaventa la difesa cieca e giustificazione con conseguente IDEA DI SANTITÀ che abbiamo della persona senza sapere o averla conosciuta, alla luce di fatti oggettivamente accaduti (rif.concerti a Sun City per es.). 

Quando fa comodo la moralità è labile e indefinibile, quando è il nostro vicino di casa ci scandalizziamo se non peggio. Probabilmente Freddie era debole nella moralità e soggiogato dal suo egocentrismo ma un grande artista al contempo e Red non ha fatto del male a nessuno decidendo di non intervistarlo: i fan potranno godere di altre interviste, no? Qual'è il problema? Forse, l'equilibrio e discernimento non sono affari da uomini mortali.

Tu come la pensi?

"Songs are fantasy and more...but this is the real life!"






Per ascoltare dialogo tra Red Ronnie e Morgan clicca qui:
https://www.youtube.com/watch?v=Kcdr_Xv_jsU

Per leggere le recensioni sul film Bohemian Rhapsody clicca qui:




mercoledì 28 novembre 2018

Meta-business: addetti vendita a rischio estinzione?


Cosa spinge una persona a scegliere di entrare, sostare ed acquistare in un negozio? E cosa la spinge a tornarci? Probabilmente da queste domande e molte più sono partiti i colossi di Amazon prima di avviare il progetto che stima di aprire nei prossimi anni oltre 2.000 negozi senza banconi né casse e che finalizza a sviluppare incisivamente una fetta di mercato offline.
Proprio a gennaio scorso in quel di Seattle infatti è stato inaugurato il primo Amazon Go, che fonde il concetto di esperienza fisica con quella digitale. E’ sufficiente che ogni visitatore si identifichi esibendo lo smartphone su un apposito lettore, il quale rileverà il codice personale generato dalla app di Amazon GO. Da quel momento fare la spesa è molto semplice: basta infilare i prodotti scelti dentro la borsa e uscire comodamente dal negozio, il resto del lavoro sarà svolto “dall’occhio” di centinaia di telecamere e sensori che vigileranno e registreranno i movimenti, scelte d’acquisto e addebiteranno la spesa sulla carta di credito.
Sulla scia del gigante americano Amazon, il competitor Walmart ha solo da pochi giorni annunciato la prossima apertura a Dallas di Sam’s Club Now, che aggirerà anch’esso il fastidioso momento del pagamento alle casse grazie alla realtà aumentata mentre ad aprire le danze nel Bel paese invece ci ha pensato Coop, inaugurando già da qualche tempo il primo supermercato del futuro a Milano. 
La nuova Customer Experience firmata Coop è resa possibile in questo caso dall’introduzione di alcune soluzioni digitali a disposizione dei clienti: dai banchi interattivi che visualizzano informazioni aggiuntive sul prodotto, agli scaffali verticali con applicazioni touch fino ad un ampio schermo che proietta dati e contenuti in tempo reale nonché notizie dal mondo social.
Pare che il fruttuoso mercato retail 4.0 sia decollato e nel pieno del proprio sviluppo: ma cosa cambierà nella percezione del cliente?

Se da un lato si prospettano: una tracciabilità del profilo e delle preferenze sulle abitudini d’acquisto che rasentano l’intuizione, una rimozione degli ostacoli tempo/attesa affinché si possa rendere più fluido e veloce il necessario (e il più delle volte anche terapeutico) momento dedicato all’acquisto di prodotti e servizi ed un accompagnamento minuzioso di informazioni personalizzate al cliente durante il percorso shopping, dall’altro rimane dimenticato e a rischio di estinzione il cont(r)atto umano, fulcro tempo fa determinante ed indispensabile per sentirci accolti, coccolati, unici ed irripetibili durante lo shopping: naturale conseguenza di una relazione basata su condivisione, emozioni e fiducia interpersonali.
Riflettere sulla rivoluzione iniziata un secolo fa che in meno di due decenni ha cambiato per sempre i connotati del mondo retail infatti, non può non riportarci alla mente la nostalgica scena di sei dollari e settantacinque, comprese le tasse federali dell’indimenticabile film “Colazione da Tiffany”, facendoci concludere che probabilmente un’asettica notifica push ed una tagliente voce cibernetica sostituiranno la gentilezza e competenza del commesso della famosa gioielleria, che con ascolto, empatia e dedizione rese realtà un’utopia.
Cosa ne penserebbe Holly, la sognante e capricciosa protagonista del film di questa Shopping Experience che sembra di più una Shopping Agility?



Scena Sei dollari e settantacinque - Colazione da Tiffany - 1961:


Watch Introducing Amazon GO:

https://youtu.be/NrmMk1Myrxc

giovedì 22 novembre 2018

Anna Calvi "Hunter Tour" 2018

Anna Calvi, Calvi Anna. Un’artista dal nome semplice e palindromo, forse anticipatorio della simmetria perfetta tra il riflesso della tua bellezza sofisticata e della tua inclinazione artistica raffinata ed eclettica. Sono arrivata in ritardo all’appuntamento, con il cuore in gola e vergognata per la mancanza ma tu mi hai perdonata e aspettata. Anzi, hai fatto in modo che ti attendessi io con trepidazione, come è giusto che sia visto che le stelle appaiono e illuminano il firmamento per ultime. 

Una volta accomodata sulla poltrona vellutata di quel teatro ottocentesco che trasuda storia e regalità, tiro un sospiro di sollievo ammirando soffitti e decori, il grande lampadario in bronzo dorato parigino per poi osservare il legno punzato del palco che ospita gli strumenti ed è quasi pronto ad accoglierti. Qualche istante ancora ed entrano composti con sguardo sapiente e risoluto la guru multistrumentista Mally Harpaz, il batterista Alex Thomas ed infine, tra luci soffuse e soffici nuvole di foschia ti fai strada tu, con i tuoi stivaletti rossi, t-shirt nera e giacca bianca con spalline che solo chi ha forte temperamento può indossare. Il tutto mixato ad un pantalone a sigaretta a vita alta che a me starebbe di merda ma che indossato da te accentua sex appeal e grazia. 

Ti fai strada verso l’asta del microfono pizzicando la fedele Telecaster con lento incedere, superbo e presuntuoso. Intuisco già dalle prime note che sono fottuta: sarà una seduzione e malia continua, dalla prima canzone all'ultima, una stregoneria melodica. Canti così Hunter, Don’t beat the girl out my boy, Swimming pool, Sing to me per citarne solo alcune e le mille sfumature della tua voce sono inebrianti: a tratti mi sembra di sprofondare nel girone dell'inferno con quelle maledette strofe grattate e cavernose per poi riemergere in un iperuranio mitologico e dovermi legare alla sedia per non rimanere vittima dei tuoi vocalizzi onirici da sirena che, se per sbaglio rimanessi rapita, mi impedirebbero di restare nella mia verdebiancarossa Itaca per seguirti disperatamente in ogni dove fino alla fine dei miei giorni. 

La tua voce, perché ci giochi così, suadente e birichina con quei suoni abissali e poi acuti lancinanti? Lo sapevi che avevo solo un cuore e te ne sei fregata, me l'hai strappato e te ne sei nutrita. Appoggio arresa al balconcino i gomiti, emotivamente stuprata e ammiro il dono divino incarnato in una donna che amoreggia con la sua chitarra, la suona... o forse la chitarra suona le corde di Anna? Forse è per quello che ad un certo punto infastidita hai perso la pazienza e l’hai presa a calci dopo un petting quasi isterico, sintomatico di una relazione passionale e profonda, quasi insostenibile. 

Non puoi fare così, sei ingiusta e scorretta: lo sai che qui in Italia abbiamo la Marrone e Levante? Capisci che non siamo preparati e non possiamo competere? Ascoltiamo troppa musica “caccafonica”. E poi, non puoi sbeffeggiarci con sound ed interludi che riecheggiano quelli dei più grandi tra Nick Cave, Leonard Coen, P.J. Harvey, Tom Waits, Jeff Buckley, Bowie, Edith piaf, Robert Plant.. Niente, mi fai sentire un'amante ignorante che deve studiare ed approfondire perché non può più vivere così mutilata. La tua laurea con lode in musica la capitalizzi tutta, capisco bene perché già reduce di apprezzamenti dalla critica specializzata, nomination per il Mercury Prize e Brit Awards sei stata ora nominata come miglior chitarrista alternativa da Music Radar. Capisco anche la tua smania e competizione: ma cosa vuoi ancora da me stasera? Una volta finito tutto questo corteggiamento straziante permettimi di tornare in albergo anche con la mente ed addormentarmi tranquilla, è stato un erotismo continuo e invadente. Sono stanca.


Per conoscere Anna Calvi:


sabato 17 novembre 2018

"A Star Is Born but a Movie Is Died"

Due settimane fa ho speso 18 euro di biglietto ingresso al cinema dietro casa mia (+ 5 euro di popocorn dal discutibile gusto pizza).
Fiduciosa per l'uscita del movie "A star is born" mi abbandono alla poltrona insieme ad un accompagnatore che terrò nell'anonimato per difendere la sua immagine da critico intellettuale postmoderno.

Testimonianza e riassunto del film: dopo le prime scene dirompenti direttamente dal palcoscenico di un concerto  country-folk della star Jackson Maine (interpretata dalla laringe talentuosa di Bradley Cooper), sono costretta ad ascoltare la distruzione de "La Via en rose" interpretata nientepopodimenoché da Lady Gaga (che nel film veste i panni di Ally: una goffa ragazza con un lieve ritardo di ingenuità). 

Ally interpreta fiera la canzone cantandola a squarciagola e così, con la sua bella vociona (travestita pure per lo show da Moira Orfei) riesce a conquistare l'attenzione di Jackson, che dietro alla vita da palcoscenico ama dedicarsi all'alcool rifugiandosi nei locali più improbabili, tra cui quello dove Ally si esibisce la sera. In stato di ipnosi invita dunque l'affascinate "Moira" a bere un drink (e te pareva!) ma ad un certo punto Ally infastidita da un fan, che porello osava solo guardare il bellissimo Jackson, gli ficca un pugno. Così, tanto per enfatizzare la sua femminilità. 

Segue la scena dolcissima dove Jackson si prende cura della mano frantumata della ragazza e quest'ultima ad un certo punto, in preda forse ad un raptus di gratitudine, canta due versi improvvisati di una papabile canzone. 
Di quei due versi in croce Jackson si invaghisce così tanto che la esalta dicendole con occhi incantati che dovrebbe fare la song writer (neanche Mara Maionchi è così tanto  lungimirante e talent scout). Non si vedono più ma lui non soddisfatto, la invita ad un suo concerto e poi direttamente sul palcoscenico a sorpresa intonando quei due versi che l'avevano colpito. Ally intimidita e con le mani in faccia e sulla bocca riesce non si sa come a cantare e prevedere tutte le strofe, l'armonizzazione e melodia dell'intera canzone (ma non si erano più visti cavoli: come avranno fatto?!) riscuotendo clamore e applausi dal pubblico. 

Nasce così  la carriera della nuova stella ma aihmè la dipendenza dall'alcool di Jackson aleggia sulla felicità dei due innamorati che cinguettano frattanto appassionatamente. 
Così, dopo qualche brutta storia aromatizzata al gin con tanto di pisciata in pubblico Jackson decide che forse è meglio disintossicarsi. Passa il tempo e Jackson in rehab si fa un mazzo tanto al fine di potersi ricongiungere alla sua "bella" Ally, un sacco di investimento di energia e desiderio insomma e finalmente riesce a ritornare a casa dal suo amore (che nel frattempo è diventata più famosa di Lady Gaga)! 

Niente da fare: prima di un duetto previsto ad un concerto della moglie che desidera rilanciarlo nel mondo della musica Jackson ha un brutto dialogo con un fantoccio umano (il manager di Ally) che lo invita a farsi da parte perché la nuova stella della musica ha già sofferto troppo e passato troppi guai per colpa sua. Così, Jackson invece di dargli una man di botte e dirgli di farsi i fatti suoi corre in garage e si suicida.

A quel punto sono dovuta uscire dalla sala (quindi rammaricata non posso raccontarvi la fine) in preda ad una forte necessità di vedere qualcosa di più realistico, tipo due puntate dei puffi… e non tanto per la trama melensa, i buchi di sceneggiatura e la parrucca da Moira Orfei ma perché avevo pagato 18 euro: non era giusto, dovevano proporre una versione free per gli spettatori esigenti!

Mi chiedo: il pubblico osanna il film, di cui l'unica cosa non contestabile è quel figo di Bradley e il suo talento come cantante, musicista e regista ma...che messaggio vuole offrire? Perché Bradley beve? Per traumi, per annebbiare i neuroni da qualche dolore fisico, per superficialità o fragilità (caspita sarebbe proprio un bel messaggio..)? Boh.. Qual è la morale della triste storia? Il successo facile? Ma dai, potevamo cascarci negli anni '50 dove in una versione del film l'iconica Judy Garldand regalava un sogno, un pezzo del fascinoso e misterioso mondo dello star system, quando esistevano ancora le dive e non i talent. Oggi ci possiamo credere? La morale è forse che la signora Gaga doveva "reborn" artisticamente e così dopo aver copiato lo pseudonimo dai Queen, attinto artisticamente a piene mani dal passato rovistando negli archivi di Madonna, Michael Jackson, David Bowie, Elton Jhon, George Michael ecc.. non poteva non cimentarsi nel cinema senza un bel remake di un film che forse, non andava profanato.

Rimane il "quesito con la Susy" sulla valutazione della critica, del pubblico e sul successo della colonna sonora che a furia di trapanarci i timpani è penetrata endovena.. La VERITA' è che va bene tutto, il capitalismo è una macchina cannibale che dopa i mostri che crea, se ne nutre e li risputa senz'anima. 
Ad Hollywood hanno così disperatamente bisogno di investitori, visibilità, pubblicità ed incassi al botteghino che producono pellicole mediocri come mitragliette mentre noi masticati e rigettati ma sopravvissuti abbiamo così bisogno di speranza, coinvolgimento, novità e di fatue emozioni che decapitiamo ciò che una volta era un pezzo di arte: si chiamava film.