mercoledì 28 novembre 2018

Meta-business: addetti vendita a rischio estinzione?


Cosa spinge una persona a scegliere di entrare, sostare ed acquistare in un negozio? E cosa la spinge a tornarci? Probabilmente da queste domande e molte più sono partiti i colossi di Amazon prima di avviare il progetto che stima di aprire nei prossimi anni oltre 2.000 negozi senza banconi né casse e che finalizza a sviluppare incisivamente una fetta di mercato offline.
Proprio a gennaio scorso in quel di Seattle infatti è stato inaugurato il primo Amazon Go, che fonde il concetto di esperienza fisica con quella digitale. E’ sufficiente che ogni visitatore si identifichi esibendo lo smartphone su un apposito lettore, il quale rileverà il codice personale generato dalla app di Amazon GO. Da quel momento fare la spesa è molto semplice: basta infilare i prodotti scelti dentro la borsa e uscire comodamente dal negozio, il resto del lavoro sarà svolto “dall’occhio” di centinaia di telecamere e sensori che vigileranno e registreranno i movimenti, scelte d’acquisto e addebiteranno la spesa sulla carta di credito.
Sulla scia del gigante americano Amazon, il competitor Walmart ha solo da pochi giorni annunciato la prossima apertura a Dallas di Sam’s Club Now, che aggirerà anch’esso il fastidioso momento del pagamento alle casse grazie alla realtà aumentata mentre ad aprire le danze nel Bel paese invece ci ha pensato Coop, inaugurando già da qualche tempo il primo supermercato del futuro a Milano. 
La nuova Customer Experience firmata Coop è resa possibile in questo caso dall’introduzione di alcune soluzioni digitali a disposizione dei clienti: dai banchi interattivi che visualizzano informazioni aggiuntive sul prodotto, agli scaffali verticali con applicazioni touch fino ad un ampio schermo che proietta dati e contenuti in tempo reale nonché notizie dal mondo social.
Pare che il fruttuoso mercato retail 4.0 sia decollato e nel pieno del proprio sviluppo: ma cosa cambierà nella percezione del cliente?

Se da un lato si prospettano: una tracciabilità del profilo e delle preferenze sulle abitudini d’acquisto che rasentano l’intuizione, una rimozione degli ostacoli tempo/attesa affinché si possa rendere più fluido e veloce il necessario (e il più delle volte anche terapeutico) momento dedicato all’acquisto di prodotti e servizi ed un accompagnamento minuzioso di informazioni personalizzate al cliente durante il percorso shopping, dall’altro rimane dimenticato e a rischio di estinzione il cont(r)atto umano, fulcro tempo fa determinante ed indispensabile per sentirci accolti, coccolati, unici ed irripetibili durante lo shopping: naturale conseguenza di una relazione basata su condivisione, emozioni e fiducia interpersonali.
Riflettere sulla rivoluzione iniziata un secolo fa che in meno di due decenni ha cambiato per sempre i connotati del mondo retail infatti, non può non riportarci alla mente la nostalgica scena di sei dollari e settantacinque, comprese le tasse federali dell’indimenticabile film “Colazione da Tiffany”, facendoci concludere che probabilmente un’asettica notifica push ed una tagliente voce cibernetica sostituiranno la gentilezza e competenza del commesso della famosa gioielleria, che con ascolto, empatia e dedizione rese realtà un’utopia.
Cosa ne penserebbe Holly, la sognante e capricciosa protagonista del film di questa Shopping Experience che sembra di più una Shopping Agility?



Scena Sei dollari e settantacinque - Colazione da Tiffany - 1961:


Watch Introducing Amazon GO:

https://youtu.be/NrmMk1Myrxc

giovedì 22 novembre 2018

Anna Calvi "Hunter Tour" 2018

Anna Calvi, Calvi Anna. Un’artista dal nome semplice e palindromo, forse anticipatorio della simmetria perfetta tra il riflesso della tua bellezza sofisticata e della tua inclinazione artistica raffinata ed eclettica. Sono arrivata in ritardo all’appuntamento, con il cuore in gola e vergognata per la mancanza ma tu mi hai perdonata e aspettata. Anzi, hai fatto in modo che ti attendessi io con trepidazione, come è giusto che sia visto che le stelle appaiono e illuminano il firmamento per ultime. 

Una volta accomodata sulla poltrona vellutata di quel teatro ottocentesco che trasuda storia e regalità, tiro un sospiro di sollievo ammirando soffitti e decori, il grande lampadario in bronzo dorato parigino per poi osservare il legno punzato del palco che ospita gli strumenti ed è quasi pronto ad accoglierti. Qualche istante ancora ed entrano composti con sguardo sapiente e risoluto la guru multistrumentista Mally Harpaz, il batterista Alex Thomas ed infine, tra luci soffuse e soffici nuvole di foschia ti fai strada tu, con i tuoi stivaletti rossi, t-shirt nera e giacca bianca con spalline che solo chi ha forte temperamento può indossare. Il tutto mixato ad un pantalone a sigaretta a vita alta che a me starebbe di merda ma che indossato da te accentua sex appeal e grazia. 

Ti fai strada verso l’asta del microfono pizzicando la fedele Telecaster con lento incedere, superbo e presuntuoso. Intuisco già dalle prime note che sono fottuta: sarà una seduzione e malia continua, dalla prima canzone all'ultima, una stregoneria melodica. Canti così Hunter, Don’t beat the girl out my boy, Swimming pool, Sing to me per citarne solo alcune e le mille sfumature della tua voce sono inebrianti: a tratti mi sembra di sprofondare nel girone dell'inferno con quelle maledette strofe grattate e cavernose per poi riemergere in un iperuranio mitologico e dovermi legare alla sedia per non rimanere vittima dei tuoi vocalizzi onirici da sirena che, se per sbaglio rimanessi rapita, mi impedirebbero di restare nella mia verdebiancarossa Itaca per seguirti disperatamente in ogni dove fino alla fine dei miei giorni. 

La tua voce, perché ci giochi così, suadente e birichina con quei suoni abissali e poi acuti lancinanti? Lo sapevi che avevo solo un cuore e te ne sei fregata, me l'hai strappato e te ne sei nutrita. Appoggio arresa al balconcino i gomiti, emotivamente stuprata e ammiro il dono divino incarnato in una donna che amoreggia con la sua chitarra, la suona... o forse la chitarra suona le corde di Anna? Forse è per quello che ad un certo punto infastidita hai perso la pazienza e l’hai presa a calci dopo un petting quasi isterico, sintomatico di una relazione passionale e profonda, quasi insostenibile. 

Non puoi fare così, sei ingiusta e scorretta: lo sai che qui in Italia abbiamo la Marrone e Levante? Capisci che non siamo preparati e non possiamo competere? Ascoltiamo troppa musica “caccafonica”. E poi, non puoi sbeffeggiarci con sound ed interludi che riecheggiano quelli dei più grandi tra Nick Cave, Leonard Coen, P.J. Harvey, Tom Waits, Jeff Buckley, Bowie, Edith piaf, Robert Plant.. Niente, mi fai sentire un'amante ignorante che deve studiare ed approfondire perché non può più vivere così mutilata. La tua laurea con lode in musica la capitalizzi tutta, capisco bene perché già reduce di apprezzamenti dalla critica specializzata, nomination per il Mercury Prize e Brit Awards sei stata ora nominata come miglior chitarrista alternativa da Music Radar. Capisco anche la tua smania e competizione: ma cosa vuoi ancora da me stasera? Una volta finito tutto questo corteggiamento straziante permettimi di tornare in albergo anche con la mente ed addormentarmi tranquilla, è stato un erotismo continuo e invadente. Sono stanca.


Per conoscere Anna Calvi:


sabato 17 novembre 2018

"A Star Is Born but a Movie Is Died"

Due settimane fa ho speso 18 euro di biglietto ingresso al cinema dietro casa mia (+ 5 euro di popocorn dal discutibile gusto pizza).
Fiduciosa per l'uscita del movie "A star is born" mi abbandono alla poltrona insieme ad un accompagnatore che terrò nell'anonimato per difendere la sua immagine da critico intellettuale postmoderno.

Testimonianza e riassunto del film: dopo le prime scene dirompenti direttamente dal palcoscenico di un concerto  country-folk della star Jackson Maine (interpretata dalla laringe talentuosa di Bradley Cooper), sono costretta ad ascoltare la distruzione de "La Via en rose" interpretata nientepopodimenoché da Lady Gaga (che nel film veste i panni di Ally: una goffa ragazza con un lieve ritardo di ingenuità). 

Ally interpreta fiera la canzone cantandola a squarciagola e così, con la sua bella vociona (travestita pure per lo show da Moira Orfei) riesce a conquistare l'attenzione di Jackson, che dietro alla vita da palcoscenico ama dedicarsi all'alcool rifugiandosi nei locali più improbabili, tra cui quello dove Ally si esibisce la sera. In stato di ipnosi invita dunque l'affascinate "Moira" a bere un drink (e te pareva!) ma ad un certo punto Ally infastidita da un fan, che porello osava solo guardare il bellissimo Jackson, gli ficca un pugno. Così, tanto per enfatizzare la sua femminilità. 

Segue la scena dolcissima dove Jackson si prende cura della mano frantumata della ragazza e quest'ultima ad un certo punto, in preda forse ad un raptus di gratitudine, canta due versi improvvisati di una papabile canzone. 
Di quei due versi in croce Jackson si invaghisce così tanto che la esalta dicendole con occhi incantati che dovrebbe fare la song writer (neanche Mara Maionchi è così tanto  lungimirante e talent scout). Non si vedono più ma lui non soddisfatto, la invita ad un suo concerto e poi direttamente sul palcoscenico a sorpresa intonando quei due versi che l'avevano colpito. Ally intimidita e con le mani in faccia e sulla bocca riesce non si sa come a cantare e prevedere tutte le strofe, l'armonizzazione e melodia dell'intera canzone (ma non si erano più visti cavoli: come avranno fatto?!) riscuotendo clamore e applausi dal pubblico. 

Nasce così  la carriera della nuova stella ma aihmè la dipendenza dall'alcool di Jackson aleggia sulla felicità dei due innamorati che cinguettano frattanto appassionatamente. 
Così, dopo qualche brutta storia aromatizzata al gin con tanto di pisciata in pubblico Jackson decide che forse è meglio disintossicarsi. Passa il tempo e Jackson in rehab si fa un mazzo tanto al fine di potersi ricongiungere alla sua "bella" Ally, un sacco di investimento di energia e desiderio insomma e finalmente riesce a ritornare a casa dal suo amore (che nel frattempo è diventata più famosa di Lady Gaga)! 

Niente da fare: prima di un duetto previsto ad un concerto della moglie che desidera rilanciarlo nel mondo della musica Jackson ha un brutto dialogo con un fantoccio umano (il manager di Ally) che lo invita a farsi da parte perché la nuova stella della musica ha già sofferto troppo e passato troppi guai per colpa sua. Così, Jackson invece di dargli una man di botte e dirgli di farsi i fatti suoi corre in garage e si suicida.

A quel punto sono dovuta uscire dalla sala (quindi rammaricata non posso raccontarvi la fine) in preda ad una forte necessità di vedere qualcosa di più realistico, tipo due puntate dei puffi… e non tanto per la trama melensa, i buchi di sceneggiatura e la parrucca da Moira Orfei ma perché avevo pagato 18 euro: non era giusto, dovevano proporre una versione free per gli spettatori esigenti!

Mi chiedo: il pubblico osanna il film, di cui l'unica cosa non contestabile è quel figo di Bradley e il suo talento come cantante, musicista e regista ma...che messaggio vuole offrire? Perché Bradley beve? Per traumi, per annebbiare i neuroni da qualche dolore fisico, per superficialità o fragilità (caspita sarebbe proprio un bel messaggio..)? Boh.. Qual è la morale della triste storia? Il successo facile? Ma dai, potevamo cascarci negli anni '50 dove in una versione del film l'iconica Judy Garldand regalava un sogno, un pezzo del fascinoso e misterioso mondo dello star system, quando esistevano ancora le dive e non i talent. Oggi ci possiamo credere? La morale è forse che la signora Gaga doveva "reborn" artisticamente e così dopo aver copiato lo pseudonimo dai Queen, attinto artisticamente a piene mani dal passato rovistando negli archivi di Madonna, Michael Jackson, David Bowie, Elton Jhon, George Michael ecc.. non poteva non cimentarsi nel cinema senza un bel remake di un film che forse, non andava profanato.

Rimane il "quesito con la Susy" sulla valutazione della critica, del pubblico e sul successo della colonna sonora che a furia di trapanarci i timpani è penetrata endovena.. La VERITA' è che va bene tutto, il capitalismo è una macchina cannibale che dopa i mostri che crea, se ne nutre e li risputa senz'anima. 
Ad Hollywood hanno così disperatamente bisogno di investitori, visibilità, pubblicità ed incassi al botteghino che producono pellicole mediocri come mitragliette mentre noi masticati e rigettati ma sopravvissuti abbiamo così bisogno di speranza, coinvolgimento, novità e di fatue emozioni che decapitiamo ciò che una volta era un pezzo di arte: si chiamava film.